Il dovere prima di tutto

Un esempio valido per il presente e il futuro dell’Italia

di Francesco Nucara

"Reale, la Repubblica come dovere": era il titolo della "Voce Repubblicana" del 14 – 15 luglio 1988 (allora era in uso la "doppia" data) approntato non appena si era saputo della scomparsa del noto leader dell’Edera. Titolo che, nella sua obbligata stringatezza, dava un’idea pienamente condivisibile di ciò che avesse rappresentato Oronzo Reale per il Pri. E, aggiungiamo con sicurezza, per l’Italia intera.

Anni prima, Eugenio Scalfari, commemorando con un famoso articolo su "Repubblica" lo scomparso Ugo La Malfa, sentenziava che costui "era lo Stato, era la Repubblica". Un’affermazione che calza perfettamente anche alla figura di Reale, senza peraltro che le differenze fra le due grandi personalità finiscano con l’essere appiattite. E, a ormai tanti anni di distanza, è chiaro come, nella storia degli anni "mitici" del Pri, emerga una sorta di "tandem" inossidabile e soprattutto efficace. E’ l’"asse" Reale – La Malfa. E non è un mistero l’uso lamalfiamo di rivolgersi, nei momenti di maggior dubbio, proprio all’amico Reale. Che fu repubblicano "puro" fin dall’origine del suo impegno politico, divenendo segretario della Federazione giovanile. Il suo impegno nel Partito d’Azione è successivo: ed è in questa sua fase di convinta e tenace milizia antifascista che incontra l’amico La Malfa. Reale diviene segretario del Pri, con Belloni e La Malfa, nel 1947. Ne è segretario unico dal maggio 1954 al dicembre 1963. Lucidità e abnegazione le doti, nel corso della sua lunga segreteria, che gli vennero riconosciute da tutti. Ma anche la più assoluta discrezione accompagnata da una fermezza non incline certamente a compromessi. E, aggiungerei, anche una visione pienamente realistica che non ebbe mai a mancargli e di cui si trova manifestazione sin dai primi anni del suo impegno in politica. Nel 1921, in un congresso giovanile repubblicano, discute del ruolo dei giovani nell’Edera. Non è un ribelle ma nemmeno un fanatico della cieca obbedienza. "Perché i giovani non s’immischino negli affari interni del partito – sostiene - è necessario che la loro sorte, cioè l’indirizzo del loro organismo, non dipenda completamente dal Partito". Reale, a diciannove anni, è dunque già un "saggio", fautore di una visione equilibrata dei rapporti. Quando, vari anni più avanti, presenta domanda d’iscrizione al Pri, giustifica la sua passata adesione all’azionismo con motivi di stringente necessità: "Noi vedemmo in questo la realizzazione di un grande movimento repubblicano, capace di dare all’antifascismo un concreto contenuto politico e di condurre, con maggior dinamismo e più vasta apertura verso uomini e correnti sicuramente democratici, la lotta per il rinnovamento istituzionale italiano". Non è certo la recita di un mea culpa, bensì una presa di posizione, ribadiamo, fondata sul più sano realismo. Infatti, venuti a mancare i presupposti tattici, il Partito d’Azione andava "perdendo il contatto con l’opinione pubblica italiana e trasformandosi in una minoranza illuministica scarsamente ascoltata, assi meno seguita". Insomma, finita la Resistenza, ecco il tempo del fare, della ricostruzione. E il Pri era lo strumento più idoneo per tale compito. Dunque un costruttore, un fucinatore, un protagonista, un leader di primo piano. Tanto che ci appaiono, oggi, quasi una conseguenza delle sue doti e della sua personalità gli importantissimi incarichi che ricoprì a livello istituzionale: più volte ministro di Grazia e giustizia, ministro delle Finanze, giudice della Corte costituzionale. Impossibile non ricordare il Reale che si trovò ad operare negli anni inediti del terrorismo. E basterebbe solo la riforma del diritto di famiglia a farcelo percepire come uno dei grandi modernizzatori del Paese: fu con la sua opera, come indicato da più giuristi, che anche l’Italia seppe compiere un balzo storico non indifferente. Nel nuovo istituto della famiglia concepito da Reale il vecchio sistema gerarchizzante veniva messo definitivamente in soffitta: tutto in punta di diritto e senza scalmanati atteggiamenti distruttivi, del resto estranei alla sua figura. A ventidue anni dalla scomparsa possiamo considerare Oronzo Reale un esempio, il portatore delle istanze e dei modi più profondi e radicati della tradizione repubblicana. Tradizione che, proprio in Reale, si aprì alle esigenze della contemporaneità se non del futuro.